Imprigionati in un rettangolo

Ho alzato e girato la sguardo, ma non ho incontrato altri sguardi, solo colli piegati verso il basso per guardare uno schermo luminescente.

Accanto alla critica legata ai passatempi troppo solitari, è stata posta la necessità di fare amicizie. Lo so, non sono il genere di persona che lega facilmente con gli altri, fin da piccola. Basti pensare che la maestra d’asilo fece notare ai miei genitori che avevo delle amicizie selettive. All’epoca non era una pecca insanabile di un carattere troppo introverso, era semplicemente un dato di fatto. Le cose non sono cambiate più di tanto con il tempo: continuo ad avere le mie amicizie, ma molto selettive. Non sono espansiva, non voglio piacere al mondo intero, non mi interessa avere la rubrica piena di nomi dei quali a stento mi ricordo la faccia.

Ora, però, la difficoltà di fare conoscenze è resa ancora più ostica da questa nuova gabbia, questo rettangolo che lega mente e occhi e che irritisce i sensi più di una maledizione. Strano come uno strumento così forte, che in effetti ha moltiplato le nostre possibilità e che ci permette di più libertà e informazioni, possa tramutarsi in un ostacolo. I ragazzi non parlano, i ragazzi guardano.

Quando sono entrata per la prima volta all’università, la realtà era diversa: quasi nessuno aveva uno smartphone, avevamo i cari, indistruttibili cellulari, che potevano essere lanciati nella borsa senza paura che subissero qualche danno. Per quanto mi riguarda, la conversione alla versione più tecnologica è avvenuto al quarto anno di università e non nego che le comodità che offre siano nettamente maggiori di quelle del macinino cui ero tanto affezionata.

In aula non ho mai assistito a scene come quelle che mi circondano quotidianamente. Che cosa trovi in quel cellulare o in quel tablet? Che cosa ti rapisce? Non lo so: quando ho del tempo libero leggo un libro, lo trovo più rilassante perché imprimo io il ritmo da dare, non subisco il martellare dei video di pochi secondi.

Abbiamo perso un pezzo di libertà? A vedere quegli sguardi fissi, penso proprio che sia così.

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Occhi vuoti

Guardare negli occhi di Persefone significa immergersi nel nulla, perdersi negli anfratti della morte e riemergere senza fiato in un mondo che non ha più calore. Guardare negli occhi di Persefone lacera l’anima, che ne rimane mutilata.

Sembrava di fissare un grande baratro quando il proprio sguardo incrociava quello della vecchia. Gli occhi azzurri, chiari come una lastra di ghiaccio, riflettevano vacui un mondo che non era quello terreno. Per questo l’avevano chiamata Persefone, anche se il suo vero nome si era perso nelle pieghe dei ricordi. Si diceva che chi fosse stato in grado di sostenere quel contatto avrebbe potuto scoprire il proprio futuro, il destino che gli era stato assegnato nel grande libro della vita. Altri sostenevano che si trattasse solo di una povera vecchia, un po’ persa, che aveva perso la vista nelle cataratte.

Ognuno osserva il mondo e lo interpreta a modo proprio. C’è chi vi intravvide una traccia di magia, chi un anelito divino e chi un tanto complesso quanto perfetto meccanismo. Eppure erano in molti a sostenere che la vecchia avesse dei poteri, anche prima di varcare la soglia del declino. Non parlava quella donna, e non si aveva memoria di mariti o figli, ma la sua sola presenza riempiva la stanza e faceva crollare nel silenzio anche il più logorroico dei narratori.

Persefone non aveva paura della morte, nonostante il suo futuro non prevedesse molte altre possibilità. L’avrebbe accolta come una compagna che finalmente la grazia con una visita tanto attesa. Aveva finito il suo gioco, era ora di andare.

Gli occhi vuoti di Persefone perseguitano i vivi, che tanto temono quelle perle nere incorniciate da un freddo mare di incertezza.

Chiudere gli occhi

Sono sempre stata della convinzione che tenere gli occhi ben aperti, attenti a captare ogni singolo cambiamento, ogni accenno, ogni particolare, fosse fondamentale per sopravvivere in questo mondo. In effetti, non posso dire che sia una delle mie tante convinzioni sbagliate, diciamo che è per tre quarti giusta: sono riuscita a individuare alcune truffe, a scoprire molti furbetti che si spacciavano come tutto-fare omniscienti e anche a scovare errori che continuavano a passare inosservati. Sono parecchio affezionata allo spirito di osservazione, soprattutto quando va a braccetto con un altro spirito, quello critico.

Eppure, a volte, vorrei chiudere gli occhi e starmene tranquilla, lasciandomi andare al flusso ininterrotto di parole altisonanti e di giuramenti vuoti come un guscio di chiocciola abbandonato al sole. Sarebbe tutto più semplice, e sono certa che avrei un numero più cospicuo di conoscenze.

Una mela può essere stupeda all’esterno, ma riservare un cuore marcio a chi vada più a fondo, con conseguente disgusto e innervosimento. Perché non lasciarsi ammaliare da quella buccia così lucida che promette un interno succoso e puro?

Il denaro contraffatto è divenuto ormai la merce più utilizzata, soprattutto per le relazioni tra persone. Tanto vale far finta di non saperlo di non averlo visto. Tanto vale chiudere gli occhi.