Faber se ne stava in cabina rimirando la vecchia bambola appartenuta a Eleonor. La fanciulla aveva sempre sognato di vivere avventure mozzafiato, di uscire dal villaggio in cui era nata. Il fratello era molto meno propenso, invece, ad abbracciare l’ignoto e molto più a suo agio tra le vie conosciute del piccolo villaggio. Dopotutto era il mondo che veniva a bussare alla sua porta grazie al talento che aveva nel fabbricare bambole. Eppure, per quanto riuscisse sempre a soddisfare le esigenze della clientela, non era mai soddisfatto e riteneva quella bambola rappezzata il vero capolavoro. Dopotutto, era proprio grazie a quella bambola che poteva vantare il suo talento.
“Emergere dalla massa può portare delle attenzioni non volute. Magari persino dell’invidia” Nestor era entrato nella cabina senza annunciarsi, come suo solito. Sembrava si sentisse il padrone della nave e che cercasse in tutti i modi di far parlare il taciturno passeggero.
“Quindi è stata l’invidia a portarmi su questo pezzo di legno? Potevano tagliarmi direttamente una mano: avrebbero risparmiato tempo e avrebbero ottenuto comunque il loro fine” osservò Faber.
“No, il lavoro è vero, nel regno in cui vivo nessuno si sognerebbe mai di fare del male a un artigiano con una dote così particolare. Nel tuo, invece, non ci giurerei. Giravano strane voci: tu saresti un pazzo e le bambole un’opera del diavolo”.
Faber conosceva bene quelle voci, e non le biasimava nemmeno. Il primo ad avere paura delle bambole era stato lui stesso e quando guardava una delle sue opere finite spesso sentiva un antico brivido corrergli lungo la schiena. Forse era per quello che, una volta terminate, riponeva immediatamente la creazione al sicuro in una scatola di legno imbottita di ciuffi di lana.
“Non le piace parlare” disse Nestor.
“Si sbaglia” lo corresse Faber “Mi piace parlare. Non mi piace parlare di me. Sa quando questo viaggio terminerà?”
“Non manca molto, già domani dovremmo esserci. Il mio signore non vede l’ora di vedere le sue creature. E la principessa pure”.
