
Gli antichi aruspici riuscivano a indovinare il futuro osservando il volo degli uccelli o leggendo il fegato di un animale sacrificato agli dei. Questa abilità era considerata una vera e propria scienza e, come tale, infallibile e affidabile. I secoli hanno mutato le città, sostituito credenze e superstizioni con nuove credenze e superstizioni, magari ammantate da ironia o celate dietro a sorrisi accondiscendenti. Eppure i presagi continuano a solcare il flusso della storia portando nella loro barca un carico colmo di attese, di paure per un futuro che sembra essere una nera voragine pronta a racchiudersi sul presente.
Eppure i presagi erano tutti lì, bastava leggerli, bastava prestare ascolto ai sussurri trasformati in grida, bastava alzare gli occhi e capire che il prossimo passo sarebbe stato quello fatale. Erano molti i segni, ma non c’erano aruspici capaci di coglierli. Eppure erano così semplici. Prima i morti, non persone conosciute, ma il cerchio si stringeva sempre più attorno a Marta. Lontani conoscenti, poi lontani parenti, poi parenti. Alle morti seguirono i commenti: “Era uno scansafatiche. Suo padre ha lavorato tanto, lo ha mantenuto. Ha perso il lavoro e non ne ha più trovato uno. Lascia perdere, non ha ottenuto nulla dalla vita”. Dopo le chiacchere toccarono i fatti, che come una valanga si staccarono dalla montagna apparentemente solida seguendo dei piccoli sassi. Perse il lavoro, perse la voglia di reagire. In realtà Marta perse la speranza e piombò nel vortice oscuro che riuscirebbe a trascinare nel fondo anche il più abile nuotatore.
Marta maledisse i presagi e la sua incapacità di capire. Le sembrava di essere analfabeta di fronte ai segni del mondo, di fronte a una vita che le sembrava sfuggire dalle mani. Vedeva strisciare via la sua esistenza spaventata, alla ricerca di un qualche anfratto in cui nascondere il proprio corpo stravolto. Marta non era un aruspice, ma avrebbe tanto voluto che qualcuno la avvisasse di ciò che la stava aspettando.