Presagi

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Gli antichi aruspici riuscivano a indovinare il futuro osservando il volo degli uccelli o leggendo il fegato di un animale sacrificato agli dei. Questa abilità era considerata una vera e propria scienza e, come tale, infallibile e affidabile. I secoli hanno mutato le città, sostituito credenze e superstizioni con nuove credenze e superstizioni, magari ammantate da ironia o celate dietro a sorrisi accondiscendenti. Eppure i presagi continuano a solcare il flusso della storia portando nella loro barca un carico colmo di attese, di paure per un futuro che sembra essere una nera voragine pronta a racchiudersi sul presente.

Eppure i presagi erano tutti lì, bastava leggerli, bastava prestare ascolto ai sussurri trasformati in grida, bastava alzare gli occhi e capire che il prossimo passo sarebbe stato quello fatale. Erano molti i segni, ma non c’erano aruspici capaci di coglierli. Eppure erano così semplici. Prima i morti, non persone conosciute, ma il cerchio si stringeva sempre più attorno a Marta. Lontani conoscenti, poi lontani parenti, poi parenti. Alle morti seguirono i commenti: “Era uno scansafatiche. Suo padre ha lavorato tanto, lo ha mantenuto. Ha perso il lavoro e non ne ha più trovato uno. Lascia perdere, non ha ottenuto nulla dalla vita”. Dopo le chiacchere toccarono i fatti, che come una valanga si staccarono dalla montagna apparentemente solida seguendo dei piccoli sassi. Perse il lavoro, perse la voglia di reagire. In realtà Marta perse la speranza e piombò nel vortice oscuro che riuscirebbe a trascinare nel fondo anche il più abile nuotatore.

Marta maledisse i presagi e la sua incapacità di capire. Le sembrava di essere analfabeta di fronte ai segni del mondo, di fronte a una vita che le sembrava sfuggire dalle mani. Vedeva strisciare via la sua esistenza spaventata, alla ricerca di un qualche anfratto in cui nascondere il proprio corpo stravolto. Marta non era un aruspice, ma avrebbe tanto voluto che qualcuno la avvisasse di ciò che la stava aspettando.

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Incertezza

Incertezza. È questa la parola che meglio descrive la situazione in cui mi trovo,

L’incertezza per non aver fatto le scelte vincenti. Accompagnata dal timore di aver intrapreso una strada che porta al fallimento e dalla quale non si può tornare indietro. Non ho capito, non ho colto le occasioni giuste, ho sottovalutato alcune mie propensioni e sopravvalutato altre.

Incertezza perché non vedo un futuro. Guardo avanti la via sotto i miei piedi si sfuma nel buio. Solo tanta oscurità.

Incertezza. Perché affianco non ho nessuno che abbia scelto di amarmi,che mi aiuti, mi ascolti, mi parli, si faccia ascoltare, co divida gioie e sofferenze, vittorie e sconfitte. Che mi mi tenda la mano quando necessita di aiuto o che me la porga nelle difficoltà. Nessuno con con cui condividere.

Incertezza di chi sono,sempre attanagliata dalla paura di vedere in me una persona grigia e scialba, spenta, senza alcuna voglia di brillare. Senza traguardi da festeggiare.

Incertezza che paralizza, che ammutulisce. Che mi fa sussurrare e che smorza il fiato. Che mi rimpicciolisce cercando di farmi occupare meno spazio possibile.

Dietro di me solo tanta fatica e poche soddisfazioni. Affianco un vuoto che ogni giorno si fa più nero, pesante, rumoroso. Davanti un’oscurità che potrebbe nascondere un abisso.