Pulsazioni

Sotto le dita le tempie pulsano come impazzite. Sembra il cuore di un uccellino reduce da un folle volo.

E anche tu vorresti partire e spiegare le ali, vorresti che il cuore battesse per emozioni travolgenti, per il suo tiranno amore, per la sua signora adrenalina. Non per paura. No, non per quell’infida creatura capace di sconvolgere il ritmo vivifico.

Le tempie pulsano. Sembra che il sangue voglia fuggire, che aneli alla libertà. Rompere gli argini come un fiume e mostrare tutta la sua potenza.

Fuggire. Sì. Avere la possibilità di lasciare alle spalle tutti gli errori, le leggerezze che ora ti trascinano inesorabili verso il fondo, come palle di ghisa agganciate alle caviglie.

E intanto ti chiedi come fare. Come fare a spiccare il volo. Come fare a fuggi. Come uscire da questa gabbia.

Cosa faresti se…

Cosa faresti se avessi le ali?

Mi librerei alto in cielo, così in alto da sentire la pelle bruciata dal sole. Vedrei città ridotte a piccole macchie luminose. E gli uomini ridotti a una misera massa brulicante, come formicaio scoperto ed esposto alla luce del sole. Anche l’uomo che si crede un gigante diventa un essere ben misero da quell’altezza. Supererei le montagne, scavalcherei i dirupi, planerei sul mare, lasciando che la schiuma leggera schizzi sulla pelle.

Cosa faresti se avessi le pinne?

Sprofonderei tra gli abissi del mare per visitare i regni subacquei nascosti a tutti. Vedrei esseri inconsistenti, che lasciano dietro di sé una leggera scia luminescente, e creature orribili, dai denti aguzzi che addescano le proprie vittime con dei lumini fasulli. Promettono loro il sole sconosciuto per poi dar loro ala morte, il buio più profondo. E non sentirei più il vociare garrulo e fastidioso, le grida vane, il rombo arrogante.

Cosa faresti se fossi lombrico?

Scaverei le viscere della terra per diventarne un tutt’uno, ne assaporerei le zolle, godrei della sua umidità sulla pelle. Visiterei gli abitanti invisibili e ciechi mentre scavano un complicati labirinto sotterraneo. Ogni giorno mi sentirei al sicuro nel ventre del mondo.

Cosa faresti se fossi mare?

Sperimenterei la violenza. Dalla calma piatta mi gonfierei e mi abbatterei sulle coste senza pietà. Porterei via tutto ciò che ostacola il mio cammino, alberi, animali, uomini, case. Con costanza ridurrei in sabbia possenti montagne.

E se fossi fuoco?

Proverei la rabbia di essere addomesticato. Proverei a varcare quei confini, a crescere senza limiti. Saprei cosa sia la paura e la distruzione. Non avrei pietà.

E umano?

Cercherei di sopravvivere, di essere uccello, pesce, verme, mare e fuoco. Cercherei il mio instabile equilibrio.

Voglia di volo

Avrebbe voluto volare, ma non poteva. Lacci solidi e potenti legavano le ali. Grosse catene nere lo trattenevano a terra. Come un uccello imbrattato di pece, non riusciva a spiccare il volo tanto agognato.

Sentiva il forte odore umido del terreno. Ne poteva avvertire gli abitanti ciechi che rifuggono la luce: lombrichi, insetti, talpe che si aggiravano tra il labirinto di radici. Era questo aroma ad averlo incuriosito.

Ma ora gli mancava l’aria impalpabile del cielo, il refolo di vento, la corrente amica, il calore intenso della neva, e la soffice nebbia delle nubi.

Gli manca la leggerezza, la sensazione di non avere peso, di essere diventato lui stesso vento. Libero, non delimitato dal suolo.

Ora sentiva tutto il peso premerlo a terra. Sentiva i vincolo che lo stringevano. Sentiva la gabbia, la prigione. Aveva dei piedi, delle gambe, un torace, che pesavano insopportabilmente. Aveva un corpo, una materia fatta di carne e ossa. Lui stesso era diventato la terra cui era vincolato. Anche il cuore era divenuto, infatti, un macigno gravoso.

Lasciatemi andare, vi prego. Voglio volate, voglio tornare a casa.

Ma chi erano i miei carcerieri? Erano invidia, odio, maldicenza. Ma anche paura e timore. Paura di cadere, timore di essere deriso e di essere sconfitto, di non librarmi nell’aria, ma di piombare a terra.

Finché non capì. Che gli altri parlino e sperino nella disfatta. Io sfrutterò i miei timori per tornare a volare.

Niente mi fermerà.