Campi Elisi – Pt.1

Chi non teme l’ignoto? Anche gli eroi tremano al pensiero che le loro azioni vengano dimenticate, o si cristallizzino in diamanti bellissimi e splendenti, ma fragili e muti. Anche qui, nei Campi Elisi, gli amati dagli dei si chiedono per quale motivo patire talmente tanto in vita, per poi finire negletti in angolo di tartaro.

Io ne so qualcosa di memoria. La mia maledizione è stata quella di non poter vedere la luce del sole, di non sapere che cosa siano i colori, di non apprezzare la fiorita di una rosa. Ma, credetemi, ho saputo sfruttare questa mia mancanza, egregiamente oserei dire. Sono cieco, ma non muto, e così ho reso le parole i miei occhi, luci che mi hanno guidato nell’oscurità, anche in quella della morte. Non so cosa siano i Campi Elisi, non so quali piante vi crescano o se vi siano effettivamente piante. Non so nemmeno se sia tutta un’illusione di immortalità, un sogno iniziato nel momento in cui, stanco, ho chiuso gli occhi vuoti e fermato la bocca ancora piena di tanti versi. Ascolto, però, e sento i lamenti di coloro che sono stati e di coloro che saranno amati dagli dei.

Il destino non sempre è gentile con le anime che qua dimorano. In questo luogo di attesa dell’eternità mi siedo in un angolo e canto, come ho cantato in vita, e come canto anche da morto. Perché la mia voce non si è mai spenta, e con essa neppure gli eroi e i pusillanimi di cui vi ho narrato le imprese. Sono una voce, e sono mille voci, sono un poeta e uno stuolo di poeti.

Sono Omero, e vi racconterò come in queste terre che non si trovano su una mappa le mie creature continuano ad affannarsi per una vita che, ormai, non potranno più assaporare.

Sarebbe un disastro

“Insomma, ragionaci Agamennone, sarebbe un disastro se Achille si ritirasse dalla guerra. Non litigare come un bambino sei un re, e lui un semidio”.

“Fratello, taci, è proprio perché sono re che non mi posso permettere di sottostare alle richieste di un semplice guerriero. E poi ci siamo invischiati in questa guerra per tua moglie. Anche se non so se si possa più definire tua”.

“Un semidio la cui madre gode di qualche beneficio davanti a Zeus stesso, non un semplice guerriero. E non parlarmi in quel modo, ne va del mio onore”.

“E lui allora, per una schiava si ritira dalla guerra. Il tuo onore vale forse di più del mio? Dovevamo avere un guerriero che rifugge il campo di battaglia per suonare e cantare. E invece chi sarà l’eroe per antonomasia? Chi verrà preso a esempio come simbolo di coraggio e forza?”

“Eracle?”

“Menelao, a volte mi sembra che tu faccia lo stupido per fami perdere la pazienza. Achille, ovvio. Tutti riusciremmo a essere invincibile dopo un bagnetto nelle acque dello Stige”.

“Se vuoi ti ci accompagno, ma poi ti tuffi tu nel fiume infernale”.

“Pensi che molti si ricorderanno del tuo nome? Persino io, Agamennone, sarò più famoso di Menelao”.

“Sì, per uno stupido litigio. E perché anche tu hai problemi con la moglie, solo che Clitemnestra si lascerà prendere la mano e ti renderà molto famoso”.

“Che cosa stai blaterando?”.

“Solo di sogni che spero provengano dall’otre sbagliato sulle porte della casa degli dei”.

“Ti ripeto, sarebbe un disastro perdere anche Achille. Guarda chi ci rimane: Odisseo? Quello pensa tanto e fa poco. Aiace? Uno dei due? A parte qualche duello non mi sembra che possano risolvere questa situazione. Non mettere alla prova Achille, ti dico”.

“Se continui mi ritiro anch’io dalla guerra. Tutto per una moglie scappata”.

“Come osi?”

“Nega!”

“Zitto, stanno arrivando gli altri. Riprendiamo dopo”.

Dubbi

Guardando il liquido orizzonte di mare, forse Achille si è sentito stanco. Il fato benevolo già ha rivolto il ghigno di una immortalità di parole e storie, di perdite e vendette, di pietà e crudeltà. E forse anche Agamennone vedeva nei fuochi messaggeri una pira funebre che avrebbe consumato le sue carni, le sue ossa, la sua mente.

Non hanno mai avuto dubbi i nomi che popolano le pagine di storia? Non hanno mai guardato il passato e visto le voragini impossibili da colmare? Non si sono mai piegati a quel moto distruttivo che riduce tutto a un semplice elenco senza voce e senza anima?

La perseveranza a volte è solo sintomo di una follia ben nascosta, di un tentativo di fuggire l’anonimato per trovare conforto in un infinito inesistente. O è solo una fuga dai dubbi che erodono anima e forze per lasciare da parte solo un involucro di tristezza.

Riflesso

Davvero sono io? Quella figura riflessa mi rappresenta?

La scorgo sul metallo dorato, plasmata in mille figure, deformata dal lungo serpente di Oceano, incrinata dalle città, quella in guerra e quella in pace. Mossa dai movimenti di un giovane ballerino.

Un manufatto stupendo, divino, dono di mia madre. Ma ora che lo guardo da vicino vedo anche me. Io, il possessore di questo scudo, sono diventato un suo strumento.

Mi rimanda la pallida immagine di un giovane uomo, avvenente, certo, ma con gli occhi opachi, spenti. Sono gli occhi di chi sa che la sua morte è vicina. Gli occhi di chi si è arreso al fato.

È stato deciso che non vivrò a lungo. Scontato per noi eroi.

È stato deciso che una freccia ingannatrice mi ucciderà. Scoccata da un vile e guidata da un dio.

È stato deciso.

Ho tentato di fuggire a questo volere, ma non è valso a nulla. Ho solo ucciso un padre. Ho solo mandato a morire un altro giovane. Il mio amato.

Va bene, mi piego al vostro volere. Dopotutto, perché resistere? Per chi scappare? Ho perso tutto. Sono solo. Mi è rimasta solo questa vuota gloria da difendere. Non tornerò a casa. Non canterò le gesta di altri eroi. Darò anche la mia vita per una questione inutile.

E sia. Morirò solo. Morirò da mortale.

Campi Elisi

Narrano di terre vaste e rigogliose, in cui crescono alberi di ogni tipo, sempre in fiore, sempre con i rami carichi di frutta, in qualsiasi mese dell’anno. In quel paese non esistono stagioni, al giorno non segue la notte, il tempo è cristalizzato.

Lì potrai trovare strani personaggi che riposano.

Un bel giovane stende le gambe mollemente mentre suona la cetra cantando leggende di altri tempi. Poco lontano un ragazzo lo ascolta, in silenzio, rapito, senza mai distogliere gli occhi. Il primo non può fare a meno di sorridere compiaciuto, mentre ricorda le gesta di eroi pronti a combattere in terre lontane solo per la gloria, per diventare a parole immortali. Al suo fianco, gettato a terra, uno scudo di metallo riflette la luce facendo invidia al sole stesso, mentre il giovinetto gioca ozioso con elmo.

Una donna possente li spia da lontano. Ha le braccia muscolose, lo sguardo limpido e duro. In seno porta ancora il rancore di una morte non voluta, di un oltraggio che non può essere vendicato.

Accanto al fiume limpido sospira un uomo dai capelli neri e ricci. È tranquillo, ma un velo di tristezza cala sugli occhi mentre rimira l’acqua. Gli mancano le onde, l’odore salmastro, il sale che tira la pelle, il suono dei flutti che si infrangono come sogni, che raccontano di gente sconosciuta, di terre lontane, di una casa che lo attende, di un’isola tanto amata quanto lontana.

Su una pietra sta seduta una donna velata, che culla un bimbo. Il destino, o un malvagio ordine, lo ha condannato a rimanere un infante per sempre. Nelle orecchie rieccheggia ancora il grido disperato della madre mentre lo allontanano a forza dal suo seno. Sulla sua pelle il sentore dell’aria che lo sferza, ma che non è capace di frenare la sua caduta. “Padre, dove sei?”.

Un poco in disparte il padre guarda la triste coppia, e in cuor suo si rammarica di non essere riuscito a dar loro un futuro. “Tu sei per me marito, padre e fratello”. Eppure si sentiva un semplice assassino incapace di difendere la sua famiglia, la sua città.

Un vecchio cerca di consolarlo, mentre gli cura le piaghe attorno alle caviglie e le ferite sulla schiena. Parla piano, mentre enumera il destino dei suoi numerosi figli.

Un energumeno muscoloso accarezza uno strano manto. Pensa ad un altro mantello, regalatogli dalla sua amata, ardente come la gelosia di lei, pensante come centinaia di fatiche, letale come un’idra che non può essere sconfitta.

Gli amati dagli dei, li chiamano. Uomini perduti, sofferenti, dal fato segnato. Amati dagli dei, dicono.