Passeggiare per la luna non è poi molto diverso dal passeggiare sulla terra, se si ignora il rumore metallico che sprigiona ogni passo. Astolfo trovò che il paesaggio riservasse, però, molte più sorprese rispetto al mondo che conosceva, e in molto meno spazio.
Vide, per esempio, delle torri immense, alte più di una quercia secolare, più di qualsiasi torre difensiva su cui Astolfo avesse mai messo gli occhi. Ma non erano torri fatte di mattoni, con una logica ben precisa, erano dinoccolate, pericolanti, con rientranze e pendenze. A fare da pietre vi era una miriade di oggetti e di gingilli, che qualcuno avrà dimenticato fuggendo da una stanza, o in una camera d’albergo, o tra l’erba di una radura. Una in particolare attirò l’attenzione di Astolfo: era fatta di vasetti e contenitori, lenti e specchi tutti di vetro, che giocavano con la luce del sole, rinfrangendola e moltiplicandola, fino a diventare essa stessa un raggio accecante.
“Impressionante, vero? Impossibile credere che tra centinaia di anni gli uomini ne costruiranno di simili, e anche abitabili” Disse una voce.
Astolfo sussultò: era convinto che la luna fosse totalmente disabitata, ma quella voce era inequivocabilmente umana, di una donna, non una semplice memoria come i sussurri che lo avevano accolto.
“Chi sei? Fatti vedere!”
Ma nessuno gli rispose. Sentì solo una risata che si allontanava dalle torri di detriti.
Astolfo la seguì.