Astolfo non vuole tornare – Pt 4

Passeggiare per la luna non è poi molto diverso dal passeggiare sulla terra, se si ignora il rumore metallico che sprigiona ogni passo. Astolfo trovò che il paesaggio riservasse, però, molte più sorprese rispetto al mondo che conosceva, e in molto meno spazio.

Vide, per esempio, delle torri immense, alte più di una quercia secolare, più di qualsiasi torre difensiva su cui Astolfo avesse mai messo gli occhi. Ma non erano torri fatte di mattoni, con una logica ben precisa, erano dinoccolate, pericolanti, con rientranze e pendenze. A fare da pietre vi era una miriade di oggetti e di gingilli, che qualcuno avrà dimenticato fuggendo da una stanza, o in una camera d’albergo, o tra l’erba di una radura. Una in particolare attirò l’attenzione di Astolfo: era fatta di vasetti e contenitori, lenti e specchi tutti di vetro, che giocavano con la luce del sole, rinfrangendola e moltiplicandola, fino a diventare essa stessa un raggio accecante.

“Impressionante, vero? Impossibile credere che tra centinaia di anni gli uomini ne costruiranno di simili, e anche abitabili” Disse una voce.

Astolfo sussultò: era convinto che la luna fosse totalmente disabitata, ma quella voce era inequivocabilmente umana, di una donna, non una semplice memoria come i sussurri che lo avevano accolto.

“Chi sei? Fatti vedere!”

Ma nessuno gli rispose. Sentì solo una risata che si allontanava dalle torri di detriti.

Astolfo la seguì.

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Astolfo non vuole tornare – Pt 3

Per quanto Astolfo non volesse tornare, la terra lo chiamava a gran voce. Lo chiamava il suo re e i paladini, lo chiamavano perfino i nemici, che erano stanchi a vagare per labirintici boschi alla ricerca di maghe e castelli di voci imploranti. Lo chiamava persino Orlando, che seduto su un tronco di un albero divelto si commiserava la propria rovina.

Gli animi folli ricercavano il saggio, il saggio aveva compreso che la follia dimorava anche in lui. Così Astolfo non tornò, non salì di nuovo sul carro del profeta, non si avvicinò nemmeno alla bestia multiforme che lo avrebbe riportato in patria. Questa era la decisione dell’Astolfo dotato dell’intero suo senno. Non avrebbe rischiato la sua vita e la vita altrui per un eroe che si era stancato di questo titolo, di un re che diceva di essere grande, ma che tremava davanti a Rodomonte, di nemici che erano così simili ai suoi compagni.

Molti lo avrebbero chiamato matto, senza rendersi conto che erano loro a non aver compreso la follia dell’intero mondo. Astolfo ne vedeva le stranezze, e le temeva, come se a un certo punto avesse visto un fiume scorrere al contrario, invertire il flusso per tornarsene al ghiacciaio.

Si alzò in piedi lasciandosi alle spalle la distesa di ampolle con i senni dell’umanità intera, ma ebbe l’accortezza di mettere in tasca quella di Orlando: era pur sempre un amico, e se avesse cambiato idea, se avesse ceduto alle richieste della terra, non avrebbe potuto negare questo sollievo al suo compagno.

Si alzò e si perse tra le valli e le montagne della luna.

Astolfo non vuole tornare – Pt 2

Re Carlo doveva essere proprio fuori di sé per considerare Astolfo uno stolto: Astolfo era il cavaliere più saggio e più assennato che l’esercito potesse vantare. E proprio per questo si era assunto il compito di far rinsavire Orlando, che aveva perduto qualsiasi briciolo di senno dopo l’ennesimo rifiuto della bella, diabolica, sfuggente Angelica.

Era partito, dunque, Astolfo. Certo, era un po’ folle pure Astolfo, per accettare di salire su un carro trainato da un ippogrifo per finire sulla luna. Ora, la versione di Bradamante aveva delle inesattezze, ma, si sa, all’uomo piace abbellire i racconti per renderli un po’ più interessanti: il carro su cui era salito l’eroe non era certo di fuoco, e il cavaliere non aveva urlato nulla riguardo alla luna. Nulla da ridire sulla descrizione della creatura legata al carro.

Folle o no, Astolfo aveva attraversato la sfera di fuoco ed era atterrato su una superficie ferrosa, su cui i suoi passi riecheggiavano come se quella sfera fosse vuota. Un po’ titubante si era addentrato in quel mondo sconosciuto, sperando di trovare quel che cercava subito in modo da tornarsene dal suo re. Qualche pezzo del senno era fuggito anche da Astolfo se era così impaziente di tornare in un mondo dilaniato dalle guerre, da ingiustizie, da fame e da amori che non avrebbero mai avuto un futuro.

Il paesaggio che si ritrovò davanti agli occhi non era molto lontano da quello della terra: montagne, valli, laghi, pianure e foreste. Non sembrava ci fossero abitanti, ma Astolfo sentiva distintamente delle voci. L’origine di quel brusio era un cumulo informe di donne stupende, certo, ma incorporee come l’aria e trasparenti come veli.

“Bel cavaliere, guardaci: noi siamo le più belle di tutti i tempi, le più giovani”.

“Ehi, fermati e prova a immaginare creature più affascinanti di noi”.

“Prode eroe, neppure tu riusciresti a resistere ai nostri cori perfetti”.

Astolfo non si fece ingannare: la luna era un enorme collettore di tutto ciò che era stato perso sulla terra, il che comprendeva anche la bellezza, la gioventù e la vanità di quelle ragazze.

Non gli ci volle molto per scovare l’ampolla con il senno di Orlando. Quello che non aveva messo in conto, però, era il fatto che ci fosse anche un’ampolla con il suo nome, Astolfo. La prese, la bevve. E da quel momento cominciarono i guai.

Da quel momento Astolfo non volle tornare sulla terra.

Astolfo non vuole tornare – Pt 1

Laggiù, sulla terra, la guerra infuria, le fanciulle scappano, soldati e cavalieri cercano di recare morte per non soccombere loro alla dama che nessuno risparmia. I problemi sono molti, ma se ne aggiungono di altri: Orlando è impazzito, furioso si aggira per la foresta distruggendo alberi e scagliando massi in laghi che non ritroveranno mai più la loro limpidezza; Astolfo è scomparso. Il re Carlo guarda perplesso le proprie fila: il guerriero più valoroso è stato sconfitto dalle frecce avvelenate di amore, Astolfo non solo è stato incapace di rinsavire quel folle, ma non si è nemmeno degnato di tornare al campo.

Il re si avvicina a Bradamente: “Che cosa è questa storia di carri volanti?”

Bradamante è distratta da un po’ di tempo, e parlando con il suo sire assume un’aria vagamente colpevole: Carlo non sa che i pensieri della guerriera sono tutti per Ruggiero, un bel pagano che militava nell’esercito nemico.

“L’hanno visto, mio re. Astolfo se ne è andato, è salito su un carro infuocato, un carro trainato da una creatura strana, non un cavallo, non un’aquila, ma un insieme dei due animali. Ha urlato qualcosa a proposito della luna. Bisogna essere un po’ folli per avere il coraggio di andare sulla luna”.

Re Carlo sospirò sconsolato: sapeva che l’epoca in cui viveva non si limitava a seguire le regole prefissate dalla natura, ma i suoi cavalieri sembravano fin troppo inclini a credere alle favole raccontate dai vecchi attorno al fuoco. In cuor suo sperò che anche i pagani avessero storie simili, e che in egual misura perdessero i soldati in qualche anfratto di sogno.

Lasciò Bradamante nell’angoscia di dover scegliere prima o poi se tradire il suo esercito o se scappare con l’amato. E si chiese per l’ennesima volta dove si fosse nascosto quello stolto di Astolfo.