Scale

Una lunga, ininterrotta fila di scale si snodava a perdita d’occhio. Davanti si inerpicava su una parete rocciosa, fiancheggiando un abisso vuoto. Dietro si perdeva nell’oscurità.

I gradini erano irregolari, a volte alti, a volte bassi, squadrati e lisci, frastagliati e irregolari. Alcuni umidi, scivolosi, come se avesse appena piovuto. Altri secchi, polverosi, aridi.

Salirci era un’impresa difficile. Si rischiava di perdere l’equilibrio o di scivolare e farsi male. Le cadute del passato proiettavano una cupa ombra di paure e timori sul percorso ancora da affrontare. E il piede si faceva più pesante e più incerto, procedeva lento, con il terrore di precipitare nel nulla o di invertire il cammino e tornare indietro.

Per questo si era seduta. Solo momentaneamente, però. O almeno così sosteneva. E se non fosse stata una semplice pausa? Se questa interruzione l’avesse rovinata, infiacchita?

Non le restava che alzarsi. Dolorante, insoddisfatta. Sola.

Ma doveva salire.

Scalino dopo scalino.

Perché se il punto dove si trovava la rendeva così triste, tanto valeva lasciarselo alle spalle e sperare in qualche cosa di meglio.

Un viaggio nella notte

È mattina presto. Esattamente sono le 6.30. Mi trovo in stazione per prendere il treno delle 6.50 che mi porti a casa. Il binario di partenza è il 9, ma nel cercarlo scopro che si trova lontano dagli altri. Le indicazioni mi portano in un angolo della stazione, una specie di cunicolo vicino ad una zona a cui un cartello vieta l’ingresso. L’aspetto è quello di un’ala della stazione aggiunta in un secondo momento e non ancora del tutto ultimata.

Dopo essermi fermata un po’ perplessa, mi incammino con gli altri passeggeri lungo il corridoio. Non so bene come, ma infine mi ritrovo su un nastro mobile che prende sempre più velocità.

“Una passerella mobile, come negli aeroporti. Che efficienza” commento rivolgendomi a una ragazza vicino. Dietro di me due uomini chiaccherano tranquillamente.

Il nastro corre sempre più veloce. Come impazzito scorre veloce, superando strane scale di pietra grigia. A sinistra il fianco della montagna, a destra un abisso.

Continua la corsa. Curve improvvise spingono verso lo strapiombo, che sembra chiamarmi a sé. Un pensiero va alla mia vicina che si trovava pericolosamente vicino al bordo e che ora non vedo più. Eppure nessuno degli altri passeggeri ha dato segni di preoccupazione, nessun grido d’aiuto si è sentito.

“E nel passato, come facevano. Di certo, prima del nastro, qualcuno si era dovuto inerpicare per quelle scale”

Finalmente arriviamo ai binari. Nessuna banchina,nessun cartello. Solo i binari luccicanti sulla terra bruna.

Scopro con un certo dispiacere che il treno non è diretto, ma un “Express” che mi avrebbe portato a una tappa intermedia.

Suona la sveglia. A volte Morfeo è proprio strano.