Nel deserto

Quando le stelle non parlano e la terra si ripete sempre uguale a se stessa, perdersi può essere letale. Quel paese così lontano dalla patria non era stato molto benevolo nei confronti dei nuovi arrivati, la fortuna si era distratta, attirata probabilmente dalle imprese di un altro angolo di mondo. Talvolta capita di trovare una fine nell’abbandono e nell’indifferenza.

In quel deserto l’indifferenza era sottile come la sabbia che grattava la gola e arrosava gli occhi, acuta come le grida di uccelli affamati che aspettavano con pazienza la loro ricompensa, assassina come la seta che attanagliava i viaggiatori di una carovana che non sarebbe mai giunta a destinazione. Nessuno li aspettava, e nessuno sarebbe mai andato a cercarli. Ritrovarono i loro resti, poche ossa sparpagliate e sbiancate dal sole, dopo diversi mesi, da degli operai che erano stati incaricati di sondare il terreno per costruire la nuova ferrovia.

Quei miseri resti vennero occultati, senza un nome e senza una storia, e il progresso rappresentato dalla ferrovia ruppe il silenzio che aveva avvolto gli ultimi istanti di una carovana sconfitta dal caldo e dalla siccità.

Si diceva che quella porzione di deserto fosse maledetta. Solo dicerie, ovvio, solo racconti sussurrati attorno al focolare da lavoratori stanchi e assonnati, nulla che il ferro e il sudore non potesse superare. Successero strani incidenti, anomalie che non accaddero in altri tratti. Scomparvero strumenti, un’intera locomotiva venne trovata a miglia dal luogo in cui era stata depositata, c’erano persone voci che qualche operaio fosse scomparso in una nuvola di polvere. Che si trattasse di una ribellione del deserto violato o degli spiriti senza pace dei viaggiatori, non ebbero abbastanza forza da interrompere i lavori.

Mentre osservavano il paesaggio monotono, alcuni viaggiatori annoiati avrebbero potuto giurare di aver visto qualcosa di strano: si trattava di mulinelli di polvere, che vorticavano anche in un’apparente assenza di vento, e che si spingevano fino ai binari. E qualcuno arrivò a dire che dal finestrino aperto si intrufolavano delle voci, appena sussurri, che sembravano lamenti di spiriti, lacrime secche di abbandono. Li chiamarono gli spiriti incandescenti del deserto.

E mentre il treno passava, in una buca poco profonda, ossa confuse venivano scosse da un tremito.

Creare deserti

Ci sono eventi e uomini capaci di creare mondi, universi interi colmi di bellezza e di eleganza. Sono i creatori, capaci di vedere oltre il fango del mondo per immergersi in una forma d’arte.

Ogni elemento ha un suo opposto. Ci sono eventi e uomini capaci di trasformare ciò che li circonda in deserti. E se Mida morì nello splendore sterile dell’oro, questi prosperano nella rovina quotidiana di chi sta attorno. Hanno mani dalle lunghe dita, voci suadenti e occhi vivaci. Si avvicinano in silenzio e fanno sprofondare la vittima in un silenzioso deserto.

Alcuni sono creatori inconsapevoli di rovina, altri esperti maestri pronti a tutto pur di dimostrare la propria arte. Alcuni piombano all’improvviso e annichiliscono ogni cosa, altri scelgono il lento declino.

In ogni caso, il risultato è lo stesso: un deserto d’anima.

Deserto

Il popolo del deserto non era arido, aveva storie, raccontava di mondi e di altra gente, di creature e colori che sul vento e nel vento viaggiavano. E Jes conosceva quelle storie, le poteva leggere nelle increspature della sabbia, perché il vento disegna e racconta a chi sa leggere e ascoltare.

Molti ritengono che il deserto sia sinonimo di morte e di tristezza. Jes sapeva che non era vero, il deserto è uno scrigno, una muta ed enigmatica distesa di ricchezza. Jes sapeva e raccontava.

I suoi occhi vedevano stormi di uccelli solcare il cielo e tuffarsi nell’acqua dopo aver oscurato il solo. Sentiva i profumi di oli e legni bruciati per invocare dei muti e sorti. Sulla sua pelle percepiva il brivido di un freddo capace di solidificare anche l’aria.

Jes aveva visto il sole, ma i suoi occhi avevano avuto accesso a un universo senza fine.

Arbusto

Sii forte, resisti, sempre. Anche nelle terre lontane, selvagge. Anche nei luoghi più impervi, là dove non c’è acqua con cui dissetarsi, né ossigeno da respirare.

Devi sopravvivere dove pianta non cresce, né creatura osa avventurarsi.

Diventa arbusto, spinoso, secco, ma resistente, infaticabile, inestirpabile.

Ad un primo sguardo sembri morto, un semplice ramo rinsecchito, nodoso, senza vita che spunta dal terreno sterile.

Ma la primavera arriverà anche per te, con il suo carico di vita e di calore.

E allora anche l’arbusto si infiammerà con gemme delicate e fragili, preziose e umili. Le sue spine verranno addolcite da teneri petali danzanti al vento. Dirà al mondo intero che esiste anche lui, che la sua bellezza caduca e passeggera può sconfiggere l’oblii.

Una macchia di colore. Un barlume di vita. Una speranza delicata e tenace.

Diffondi questa tua vita anche qui, tra queste terre arse e spoglie.

Deserto

Era come stare in un’enorme clessidra, avvolto in migliaia di granelli di sabbia. Mulinelli, leggeri veli impalpabili, colli trasportati dal vento, monti erosi in una giornata. Era in un mondo sconosciuto in cui tutto poteva mutare, diventare il suo opposto. L’arsura del giorno lasciava il posto alla fresca sera, la luce abbagliante ai tenui lumini notturni. Non sembrava che ci fosse essere vivente nei paraggi.

E se fosse stata davvero una clessidra?

Una clessidra che scandiva il tempo cosmico. Tutto scivolava via, da una minuscola fessura. Attratto da questo precipizio tutto mutava, scivolava via, si perdeva e si svuotava. E dall’altra parte la sabbia invadeva luoghi prima fertile, il deserto avanzava senza pietà, con lentezza, certo, ma con una continuità letale.

Il tempo arido e avido reclamava il suo prezzo e tutto consumava. Finché non fosse tornato il momento in cui girare nuovamente la clessidra. La sorte inverte la tendenza, ciò che era al di sotto si trovava in cima.

E di nuovo, ancora, il deserto riprende a scorrere.