Tesoro

Tutti hanno bisogno di un tesoro da custodire, da cercare, da desiderare e sognare. Tutti hanno un tesoro nascosto, alcuni lo proteggono, altri se lo lasciano rubare. I tesori costruisco sogni e sogni non sono altro che mirabilanti costruzioni aree di fumo e colore.

Il tesoro di Eirene era un uovo. Nessuno era a conoscenza della sua esistenza, nessuno pensava Eirene custodisse un tesoro. Ma la donna sapeva bene che, come i segreti, è meglio che i tesori rimangano nell’oscurità.

L’uovo di Eirene era d’oro, luciccante come il sole che si specchia su un lago di montagna, ed era pesante, come se contenesse del vile piombo. Al centro si intravvedeva una crepa irregolare, che attraversava tremolante la superficie dell’oggetto per tutta la sua larghezza, fino a rounirsi nel punto di partenza, dove la linea diventava serratura.

Eirene non aveva la chiave per aprire l’uovo, e neppure la cercava. C’erano storie che venivano tramandate nella sua famiglia. Mai nessuno avrebbe dovuto aprire l’uovo. L’oro può celare segreti scomodi, un aspetto luccicante può rivelarsi una mera facciata.

Un giorno l’uovo scomparve. Per chi era stato capace di intrufolarsi nei segreti più reconditi, non fu difficile trovare un modo per schiudere l’uovo. Il tesoro più grande di Polemia era all’interno di quel guscio. Il tesoro più grande di Eirene era mantenere il contenitore sigillato.

E il sogno di Polemia si sparse per il mondo, come una pesante coltre di fumo nero.

Arcadia

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In questo mondo mi sento affondare, il terreno perde consistenza sotto i piedi, il cielo si allontana, il suolo si chiude in una morsa umida che smorza il respiro. In Arcadia questo movimento di discesa rimane sconosciuto, appartiene a una realtà lontana, al mondo delle leggi fisiche e della gravità.

Arcadia è il cielo infinito, solcato da una nave che si destreggia tra stelle e pianeti, tra meteore e comete. Arcadia è aria rarefatta, è vento e brezza, è sogno che si cristallizza in leggere nubi. Arcadia è cristallo che si infrange con uno sciabordio lieve, è acqua che culla il vagabondo e lenisce il ferito.

Tutto è possibile: grazie ad ali di arcobaleno il cielo dischiude i suoi arcani, senza il timore della vicinanza al sole. Pinne e branchie permettono di esplorare la pace ovattata del regno marino. Puoi essere leone o gazzella, aquila o delfino. Puoi ridere e gioire, senza paura di sguardi colmi d’invidia e traboccanti di giudizi.

Ad Arcadia puoi anche piangere, se ti va. Nessuno richiede il sorriso da rivista, nessuno pretende una testa china, ma sempre disponibile e preparata. Ad Arcadia non c’è fallimento, non ci sono cadute. Arcadia non conosce gravità.

In equilibrio

Saltelliamo da un punto a un altro, con il costante timore di perdere l’equilibrio e di cadere goffamente a terra.

In queste strane acrobazie assomigliamo a dei passeri che allegri svolazzano di ramo in ramo, cercando di assecondare i movimenti delle fronde. Piccoli esseri piumati, a prima vista così semplici, eppure a loro modo eleganti, gioiosi. Sembrano trovare la loro felicità in quel raggio di sole scappato dalle nuvole, tra quelle tenere gemme di smeraldo che impreziosiscono i rami a lungo spogli.

Il loro cinguettio invoca la primavera, la vita. Le loro zampette si avvinghiano con determinazione a sottili ed elastici trespoli. In questo mare di cemento e palazzi, di rumorosa umanità e di irriverenti motori, cercano la loro isola verdeggiante.

Alla fine non siamo tanto diversi da loro. Nel grigiore quotidiano cerchiamo instancabilmente il nostro angolo di pace. Magari instabile, labile, passeggero. Ma consolatorio. E lo teniamo stretto, per paura di vederlo crollare, di perderlo.

E così non ci resta che accontentarci di una traballante, momentanea serenità.

Specchio di verità. Parte 3: il disertore

Fuggì sempre più lontana, cercando il conforto negli alberi ma con il timore di perdersi in quel bosco incantato. Infine si ritrovò in una raduna dove vide un cavallo fulvo che pascolava tranquillo. Vicino, appoggiato ad un albero nodoso, si riposava un uomo.

Erano passati molti giorni, ormai,da quando era partito di soppiatto da casa portando con sé quel cavallo. Era un semplice ronzino, ma lo spronò a cavalcare veloce come il vento, per allontanarsi da quel paese. Il suo destino era quello di ingrossare le file dell’esercito, di obbedire al suo re, di spezzare le vite dei nemici, o dare la sua, nel caso la mano avesse esitato.

Tuttavia, non voleva uccidere, non voleva sentire il suono delle armi, l’odore del sangue, i rantoli, il rombo dei corni. Era fuggito con il solo cavallo, era scappato dalla morte, dal padre, dalla guerra. Ad un’altra signora si addiceva il compito di interrompere un’esistenza.

Disertore, lo chiamavano. Quella parola lo feriva come mille lance.

Gli avevano detto che anche su un campo di battaglia il grano avrebbe potuto rinascere. Ma lui provava orrore per quella natura pronta a nutrirsi dei resti delle sue stesse creature per dare nuovi frutti. Trovava insopportabile quel circolo violento che sentiva stringersi attorno.

Disertore. Una parola che lasciava un bocca un gusto di ferro, di polvere. Gli aveva aperto una ferita profonda, lo aveva lacerato facendogli perdere lentamente ogni goccia di amore vitale. Un lento stillicidio lo aveva ridotto allo stremo, proprio lui, che per rispetto della vita non aveva voluto uccidere.

Disertore. Vile, canaglia, traditore.

Disertore.

L’aria innondava i polmoni, il cuore batteva, il sangue scorreva, ma il nulla lo avvolgeva.

Aprì gli occhi, e si vide minuscolo riflesso in due frammenti di cielo azzurro. Fu un solo istante. Poi la ragazza si ritrasse,tirò un lembo del fagotto che teneva in mano e gli mostrò il contenuto.

“Cosa vedi?”

Era la voce rica di chi non era abituato a parlare.

Vide una terra lontana, che non portava il peso di costruzioni.vide una vasta pianura recintata solo da monti. Sapeva che piede umano non aveva contaminato quei luoghi. La violenza non aveva lasciato la sua striscia di fuoco e distruzione.

“Dov’è? Dimmi dov’è. Te ne prego”.

Il silenzio fu la sola risposta.

“Chi sei? Aspetta, rispondi, cosa significa?”.

Solo l’erba gli rispose con un pigro fruscio.