13

Tutti abbiamo delle piccole manie, delle fissazioni o dei gesti che ripetiamo perché, se non lo facessimo, qualcosa di male potrebbe succedere. Sono i piccoli riti quotidiani, che affondano le loro radici nella irrazionalità e nel pensiero magico. Qualche secolo fa, questo mondo che rifuggeva le regole della ragione non era relegato a un angolo dall’aspetto misterioso e poco rassicurante, ma era integrato nella vita di titti i giorni. Eppure qualcosa è rimasta anche oggi.

Nel mio caso, ho un certo astio nei confronti del numero 13. Non che sia un motivo particolare, nessun ricordo o ricorrenza che riguardi questo numero. Tuttavia tendo a evitarlo. Prendiamo, per esempio, il blog: se, controllando, vedo che gli articoli programmati hanno raggiunto quota tredici, mi affretto ad aggiungerne uno o due, per essere sicura.

Lo stesso per i capitoli dei libri: cerco di terminare quello che riporta il fatidico numero e cominciare il successivo. E nel prenotare i viaggi, se possibile, scelgo qualsiasi giono che non sia il tredici.

L’irrazionale a volte può fare brutti scherzi.

Passeggeri – Pt. 3 Sally

Per Sally casa era solo un ricordo lontano. Aveva abbandonato tutto, aveva lasciato la sua famiglia e un paese che conosceva in tutti i suoi angoli. Era approdata in un mondo non solo estraneo, ma anche ostile. Per quanto si fosse impegnato, la sua pelle e il suo accento la segnalavano sempre come elemento esterno, e poco desiderabile.

Ma nel treno era un altro mondo, nel treno la sua figura non destava particolari problemi, soprattutti in quell’ora tarda, quando i benpensanti si erano ormai ritirati nelle loro stanze di perfezione, che escludevano il variegato universo che tanto osteggiavano. In quello scompartimento, seduta su una poltroncina scomoda non si sentiva fuori luogo. Anche se un vagone non era proprio da considerare un vero e proprio luogo.

Sally si era persa, al contrario del treno, che sapeva bene quale fosse il punto di partenza e il capolinea. Sally era giunta a patti con se stessa e aveva dato a quella società ciò che si aspettava da lei.

E ogni giorno, sentiva scivolare via un pezzo di anima.

Non voler diventare

Mi sono sempre chiesta chi volessi diventare, ho cercato ciò che mi avrebbe reso una persona migliore o che almeno avrebbe smussato i miei difetti e reso meno profonde le mie lacune.

A ogni ricerca in positivo, però, sembra corrispondere anche il suo negativo: esempi negativi che all’improvviso si manifestano come quelle possibilità che renderebbero la vita offuscata, grigia, senza colori e senza curiosità.

Sono esempi da evitare a ogni costo, perché è tanto facile esserne contagiati, quanto è difficile seguire le strade opposto. Sono persone che si accontentano del proprio piccolo essere, senza il minimo slancio di curiosità per il mondo che li circonda. Rifuggono il diverso, parlano per frasi già sentite, preconfezionate da altri. E non mettono mai in dubbio le proprie convinzioni. Trovano più comodo sminuire la diversità caleidoscopica che chiede di essere scoperta e compresa, scelgono di chiudere gli occhi davanti a modi di vivere che non siano i propri.

D’altronde è una storia che è già stata sentita: la volpe non riesce a raggiugere l’uva e ne sminuisce il valore. Non c’è peggiore stupidità del chiudersi in una torre confortevole e lasciare il resto del mondo ardere.

Forse si tratta della più banale tra le paure, il timore del nuovo. Eppure non voglio diventare una creature vile, che pensa solo ai soldi e che non riesce a capire che anche nei luoghi più impervi, più lontani dalla familiare e rassicurante cultura, esplode la bellezza.

Regole diverse

Regola d’oro che non sono mai riuscita ad applicare: non confrontarsi con gli altri.

Conosco i saggi pensieri: cercare sempre il confronto è segno di insicurezza, devi procedere per la tua strada. Grazie, ma non ne sono mai stata capace. D’altronde non siamo sistemi isolati, abbiamo interazioni con terzi, per cui il confronto nasce spontaneo.

Un po’ di giorni fa ci sono ricascata. Non so se per vanteria o se per reale esperienza, un tipo vantava la facilità con cui otteneva ottimi voti in inglese durante le superiori. I risultanti si vedono: non riesce a pronunciare una mezza frase in una lingua che non sia l’italiano. E siamo parlando di una persona che appena ne ha la possibilità di vanta dei suoi titoli accademici.

Ciò che mi ha colpito, è il fatto che a me nessuno ha mai regalato niente, né voti a scuola, né tantomeno privilegi nella vita. Ho dovuto sempre lottare, spesso con risultati insoddisfscenti. Ma posso dire che mi sono guadagnata quel poco che ho, e che ho avuto.

Eppure a vantarsi sono sempre i fanfaroni che l’hanno sfangata, mentre chi, come me, ha impiegato tempo, forza e passione passa per stolto, ottuso e sfortunato che si è tanto impegnato per ottenere un risultato minore.

Se io avessi assunto lo stesso atteggiamento del tronfio soggetto, probabilmente avrei impiegato più anni a terminare le superiori. Mi sembra, infatti, che non per tutti valgano le stesse regole.

Stare al mondo

È difficile mantenere il passo e la tentazione di rintanarsi nel proprio angolo escludendo tutto il resto è forte, ma è penso sia importante sforzarsi, per quanto sia possibile, imparare a stare al mondo. Più di una volta mi sono chiesto se alcune persone fossero davvero in grado di cavarsela. Di una, in particolare, ho la certezza che si lascerebbe morire di fame, visto che pretende di essere servito e riverito e, in assenza di un pasto pronto, semplicemente non mangia. Ammetto che non l’ho mai considerato una stella nel firmamento dell’intelligenza.

Ma ci sono altri soggetti che forse fanno ancora più paura. C’è chi non accetta tutto ciò che non rientra nei propri canoni e, quindi, si rifiuta di fare nuove esperienze. Capisco avere delle idee, non riesco a comprendere, però, come si possa criticare ogni aspetto del mondo basandosi su dei semplici preconcetti. Sarò ingenua, ma mi è stato insegnato che i pregiudizi esistono, sono meccanismi di difesa, ma che è bene cercare di abbatterli.

E poi ci sono i lamentosi, quelli che ce la vogliono fare. Riescono a costruire interi castelli di lamentele e di autocommiserazione per giustificare ogni loro mancanza, per evitare di fare anche il più minimo sforzo. E quando vengono spinti fuori dal guscio, di ogni imprevisto fanno un dramma.

Stare al mondo è difficile, ma con un po’ di furbizia e pazienza nulla è impossibile.

Confusione

Cominciamo con il cane. Il cane se ne stava tranquillo davanti alla porta di casa. Avrebbe potuto essere una di quelle inquietanti statue di ceramiche che talvolta sgusciano in incubi per tentare di azzannare il malcapitato. Tuttavia il fremito che di tanto in tanto lo percorreva assicurava che fosse un essere vivente. Anche le orecchie facevano dei movimenti, quando cercava di capire se ci fossero degli sviluppi interessanti dall’interno della casa. Ma fino a quel momento nessuno aveva aperto la porta.

No, anzi, niente cane. La prospettiva canina è ormai stata impiegata talmente spesso da risultare logora. E la trovo troppo stucchevole.

Passiamo invece alla fanciulla diafana, quella si sta dondolando sull’altalena. I capelli disegnavano arabeschi in aria mentre prendeva la rincorsa per andare spingersi sempre più in alto. Sembra quasi che voglia spiccare il volo. Ma il volto è un po’ triste, e di tanto in tanto il corpo sembra perdere consistenza, diventare quasi trasparente.

Fantastico, il fantasma che si dondola mi sembra davvero un’idea innovativa. Ma davvero? Sembra che la confusione stia regnando. Lunga vita al caos!

“Lunga vita al caos!” sbraitarono gli abitanti della notte. Non che fossero creature notturne, ma prediligevano i posti bui, senza luce. Per questo avevano grandi occhi neri, spalanchi nello sforzo di vedere anche le ombre minuscole e insignificanti. Dagli abitanti della luce erano conosciuti come servi del caos, per il semplice fatto che gli esseri della notte seguivano leggi del tutto incomprensibili a quelli del giorno. E di certo l’esclamazione con cui accoglievano il proprio re non contribuiva a far cambiare loro idea.

Dicotomia luce e buoi: un po’ manichea, non credi? E magari ci facciamo nascere un bell’amore proibito alla Romeo e Giulietta. Scontato. Proprio scontato.

Si trattava di un assassinio. Non ci voleva una persona particolarmente dotata per capirlo: il corpo presentava numerose ferite inferte da un pugnale che giaceva insanguinato a lato della vittima. Il problema era risalire a chi lo avesse impugnato.

Un accoltellamento? Un po’ vecchio stile. E poi i gialli hanno stancato.

Il corpo riverso a terra era familiare. Gli occhi ormai vuoti e sbarrati guardavano il nulla, mentre sulle labbra aleggiava una vaga smorfia di disprezzo.

Ma mi hai ucciso? Come osi? Cambia subito!

Passeggeri – Pt. 2 Luca

A Luca non piace viaggiare di notte: i treni si popolano di anime, e lui non vuole essere un’anima. Di certo non può essere una di loro, perché Luca è un dottore di anime.

All’inizio non era quello il suo progetto. Voleva diventare un semplice dottore, ma una volta entrato in ospedale si era reso conto che una buona parte dei malesseri nasceva dal profondo dell’anima. Alcuni non potevano essere curati, altri potevano migliorare, anche se gli sforzi erano immani. Luca aveva visto la morte e la disperazione, ma non aveva mai ceduto loro.

Solo quando prendeva il treno per tornarsene a casa la sera si trovava sull’orlo del precipizio, lo stesso baratro in cui aveva visto scomparire i suoi pazienti. Nonostante respirassero e camminassero, aveva scorto la morte nelle profondità trasparenti dello sguardo, quello stesso vuoto che aveva scorto in un attimo, riflesso sul finestrino, e che sembrava riempire tutto il corpo della donna all’angolo. Di tanto in tanto si specchiava anche lui per vedere la vita scorrere nella sua iride.

Luca si aggrappava con in denti alla vita, l’avrebbe fatta a brandelli se lo avesse richiesto. Eppure non riusciva a trasmettere questo impeto agli altri. Forse perché nel profondo non era certo di essere nel giusto. Forse le anime si erano perse perché aveva intuito qualcosa che a lui era sfuggito.

Fortuna che poche fermate lo separavano alla sua meta. Scese dal treno, sfiorando con un sguardo il corpo rannicchiato di Maria.

Passeggeri – Pt. 1 Maria

Nella notte i pendolari si riducano al minimo. Ci sono due anime che popolano i treni notturni: chi non vede l’ora di raggiungere la sua destinazione e chi non ha una destinazione, ma si è semplicemente adagiato su un sedile e aspetta il capolinea. Di notte l’aria diventa diversa perché diversa è la luce degli scompartimenti. Fuori il mondo viene annullato da una cortina nera, mentre il treno corre sospeso nel buio, lontano dalla luce della città.

Maria appartiene al secondo tipo di passeggeri, quelli che non hanno idea di dove terminerà il loro viaggio. In tasca non ha alcun biglietto, ma di notte i controlli si fanno più blandi: nessuno osa chiedere il biglietto a un’anima errabonda. Maria guarda fuori dal finestrino, ma tutto ciò che vede è solo il suo volto inconsistente, che la guarda un spaurito e pallido.

In realtà Maria non vede e non guarda. La sua mente sta facendo delle capriole incomprensibili, che non ricorderà una volta tornata in sé. Non ricorda neppure il motivo per cui abbia cominciato a fare giravoltole. Forse da momento in cui ha fissato i suoi pallidi occhi azzurri su un mondo che sembrava andare alla deriva, che vagava come chi si è svegliato all’improvviso in una città sconosciuta.

Era salita sul treno solo perché non riusciva a reggersi in piedi. Sapeva che da qualche parte qualcuno la stava cercando, ma non si può rintracciare chi non vuole essere trovato. Ha solo una foto con sé: è quella di un ragazzo che gioca per terra con un cucciolo, entrambi biondi, entrambi più felici e inconsapevoli, entrambi innocenti e disarmati.

Maria non ha più sentito le risate di quel bambino.

Essere abbastanza

Davanti allo specchio emergono tutti i problemi. Problemi che neppure gli estranei riescono a scorgere. Talvolta gli occhi dell’anima riescono a essere più acuti di quanto si possa sopportare. E in quei casi, l’immagine che si scruta non è mai abbastanza.

La difficoltà risiede nell’ammettere di essere riusciti, di aver fatto il meglio possibile, senza cercare un modo per migliorare ancora. La difficoltà è sapersi fermare e gioire dei risultati.

In ogni caso ci sarà sempre qualche lingua di qualche benpensante che avrebbe fatto in modo diverso e migliore. Lasciamo a loro l’arduo compito di indicare alternative auree e ormai impraticabili, e sorridiamo a ciò che siamo e a ciò che abbiamo fatto.

Basterebbe accontentarsi per qualche momento, solo per riprendere fiato e interrompere la spira di insoddisfazione.