Dubitare

Il dubbio è un tarlo che lavora senza sosta, in silenzio. All’inizio il danno non sembra grave, è quasi impercettibile, ma dopo anni l’intera struttura crolla in una nuvola di polvere. Il dubbio è forse più subdolo degli insetti: ne basta uno per distruggere famiglie intere. E in casa Bianchi il dubbio faceva da padrone.

Entrare nella dimora Bianchi era come scendere negli abissi: ci si sentiva schiacciare da una pressione invisibile, tanto che i pochi invitati che varcavano la soglia se ne stavano ingobbiti, con la testa incassata fra le spalle, come se temessero che il collo non potesse sopportare quell’oppressione. Non era un caso, quindi, che Luca, il figlio dei coniugi Bianchi, fosse scappato di casa senza lasciare più notizie. Ma anche riuscendo a rintracciare Luca, non sarebbe stato possibile comprendere il motivo di quella tensione. Luca era solo la vittima dei suoi stessi genitori.

Rodolfo era il capofamiglia, uno stimato avvocato di paese che aveva fatto fortuna in città in modi non molto chiari. Rebecca ne era la moglie, di una decina di anni più giovane. Entrambi non avevano nutrito mai amore reciproco, ma una certa tolleranza. A Rodolfo la moglie, figlia di una nobile famiglia, aveva permesso di accedere a salotti le cui porte sarebbero stati chiuse davanti al figlio di un commerciante. Rebecca era stata invece attratta più dai soldi del marito che dalle sue caratteristiche umane. Era un accordo, e, finché i termini venivano rispettati, la vita dei due procedeva in modo sereno.

Il problema nacque lo stesso giorno di Luca. Il dubbio si era insinuato tra fessure delle finestre, si era propagato in casa come un gas tossico. Il primo seme era stato gettato da Luca stesso: aveva gli occhi blu, come nessun altro in famiglia, ma uguali a quelli del pittore che viveva nella casa di fronte. Ma Rodolfo non aveva detto niente perché da tanto aveva atteso l’arrivo di un erede. Eppure il suo sguardo si era fatto di ghiaccio, le sue parole erano diventate lame e il sorriso era stato dimenticato.

Anche Rebecca cambiò, di giorno in giorno divenne più magra, più secca e cominciò a guardare di sottecchi chiunque. Rodolfo prese l’abitudine di tornare a casa sempre più tardi e con un odore diverso dal solito. Il dubbio che il marito si divertisse alle sue spalle le creava spasmi allo stomaco, le attorcigliava le viscere e le toglieva il sonno.

C’era una guerra in casa Bianchi, una guerra sotterranea, senza sangue e senza fuoco, ma che avrebbe lasciato a terra almeno una vittima.

Non essere all’altezza

È da un po’ che mi chiedo se non siamo all’altezza. E che cosa vuol dire non essere all’altezza? So solo che qualche benpensante, laureato nelle materie giuste, con un lavoro ben remunerato e ben visto dalla società guarda con superiorità questa famiglia un po’ scalcagnata, non perfetta, e di certo non appartenente alla classe di dotti e saggi che si possono dimenticare di aver ereditato una casa. Anche se penso che non denunciare una casa sia un sintomo di stupidità maggiore del non aver conseguito un dottorato.

In realtà poco mi importava. Solo che da qualche tempo questa malattia sembra aver contagiato anche una persona cara. Fidatevi, so cosa si prova nel sentirsi parte di un élite: è un’ebrezza che ho provato e da cui ho preso le distanze quando ho visto il deserto attorno alla fortezza scintillante dell’esclusività. Se ne esce un po’ ammaccati, un po’ meno speciali, ma con la capacità di apprezzare il resto del mondo.

Lo so, è un testo sconclusionato, ma mi serve per mettere a posto le idee. O forse è solo una mia convinzione in un momento di stanchezza.

Da solo – Giorno 5

Tigri e zanzare. Questo posto sta diventando un incubo. Passi per le zanzare, ma la tigre proprio non ci voleva. Stiamo parlando di uno dei più grandi predatori al mondo, e io non sono un avventuriero capace di abbattere con le nude mani un felino troppo cresciuto. Una tigre parlante e con il nome di Clara è ancora peggio. Avrebbe potuto mangiarmi, staccarmi la testa e finirla lì. Ma, esattamente come Clara, l’umana, anche alla tigre sembra piacere giocare con il cibo prima di banchettare.

Ho deciso, farò finta di niente. A volte funziona. Ora devo riprendere l’esplorazione di questo incubo. Magari riesco a trovare il misterioso corso d’acqua che permette a questi alberi spiritati di vivere.

Sembra davvero abitato da spiriti il bosco. Anche questa sera mi sono fermato nel cuore della foresta e sembra che parli. Permettetemi di specificare meglio, perché non pensiate che io stia impazzendo tra tigri chiacchierone e tronchi canterini.

Facciamo un punto della situazione: il bosco sta diventando più fitto, quindi, non mi sono limitato a passarlo da parte a parte come l’ultima volta. Inoltre mi è sembrato di sentire il gorgoglio dell’acqua, ma è stato solo un attimo, poi i suoni della foresta hanno coperto tutto. La sensazione di essere osservato continua, nella speranza che non si tratti della tigre.

Non mi resta che pensare a come mi sono cacciato in questo bel mistero. Sono certo che oggi sarei dovuto andare in un viaggio di lavoro, ma nulla di esotico: un piccolo viaggio in macchina, nulla che avrebbe potuto gettarmi su una spiaggia sconosciuta.

Ma questa proprio non ci voleva.

Curiosità

Non c’è nulla di più pericoloso e istruttivo della curiosità. Ormai è conoscenza comune: senza la curiosità non si impara. E con imparare non si intende l’apprendimento mnemonico e meccanico, che comunque può avere una sua utilità, ma la capacità di accogliere e cercare di capire, di accettare le mille sfaccettature della cultura umana.

Qualche giorno fa, una persona che tollero molto poco e solo a piccolissime dosi, se ne è uscita con un elenco di posti che non avrebbe mai visitato perché non li considerava abbastanza degni dal punto di vista politico o culturale o di costume. Questa lista comprendeva buona parte del mondo, madrepatria inclusa, con l’eccezione di qualche virtuoso paese considerato civile.

Non mi soffermo sul senso di superiorità che questo individuo sfoggiava, sarebbe fin troppo scontato. Quello che più mi ha turbato è stata la mancanza di curiosità, nonostante il mio interlocutore si consideri molto intelligente, e certamente più intelligente di me.

Ma c’è intelligenza nei pregiudizi? O nel ritenersi una torre di virtù in un deserto di ignoranti?

In quelle parole sono morti non solo il rispetto per gli altri, ma anche la capacità di vedere perle di bellezza in ogni angolo di questo mondo, anche quando queste gemme vengono offuscate dalle bassezze della vita di ogni giorno.

O forse è solo la paura che ha parlato. Perché la curiosità può essere perniciosa: curiosity killed the cat. Può mettere in pericolo le nostre convinzioni e destabilizzare le certezze di una vita. Ma alla fine la vita sarebbe ben noiosa se, di tanto in tanto, non dovessimo apportare delle modifiche all’edificio che non tanta pazienza stiamo innalzando. Per quanto mi riguarda, non voglio che abbia l’aspetto di una caserma cubiforme, ma di un castello dai mille pinnacoli.

Da solo – Giorno 3

La notte non è andata molto bene. Il vostro Andrea non è un cuor di leone. Dormire sospeso fra gli alberi non se ne parla nemmeno, soffro di vertigini. Dormire per terra è stata un’agonia che mi ha fatto rimpiangere la morbida sabbia in cui mi ritrovavo prima.

Ho riletto la pagina che ho scritto ieri: forse qualche sostanza allucinogena nei frutti ci deve essere stata: perché non dovrebbe essere un incidente? E se non fosse un incidente, allora cosa sarebbe? Forse uno scherzo di pessimo gusto, ma rimarrebbe da capire chi me lo abbia tirato.

È ora di ripartire. Ho tutto il giorno per pensarci su: può essere che questa sera vi aggiorni sulle mie elucubrazioni. Spero di non venirvi a noia, dal momento che, fino a questo punto, non ci sono altri interlocutori.

Sono uscito dal bosco. Una macchia di alberi più che altro. Ora mi ritrovo su un’altra spiaggia, ma, se ci sono alberi, da qualche parte ci deve essere dell’acqua potabile, dolce. Almeno spero: temo che le mie scorte di acqua possano finire ben presto. Perciò domani tento di inoltrarmi nella foresta, percorrendo, però, un’altra via. Spero solo di non perdermi.

Stavo pensando al fatto che non fossi all’altezza di Clara. Ammetto di non essere un genio, e infatti mi ritrovo a girare sperduto su questa terra sconosciuta, ma non sono nemmeno uno stolto. Ho avuto le mie incertezze, ma non tutti hanno la fortuna di trovare la loro strada subito. Prendete come esempio questa piccola escursione: non ha portato a nulla, ma la prossima forse andrà bene, o quella ancora dopo.

Probabilmente Clara era troppo scaltra per un credulone come me. In ogni caso, voi state diventando un po’ noiosi, non rispondete mai. Meglio che vada a riposarmi.

Cosa fare

A volte non si sa cosa fare. E non perché si è a un bivio, ma perché non c’è la strada e bisogna tracciarla con le proprie mani, senza nemmeno conoscere la natura del luogo.

Non si sa se quella via così faticosamente guadagnata porti a qualche luogo ameno, o a un dirupo, o a una palude mefitica. Non si sa nemmeno se ne valga la pena cercare negli alberi, nelle rocce persino nel cielo un suggerimento che indichi la giusta direzione.

O forse non c’è una direzione giusta o una sbagliata. Ogni direzione porterà a qualcosa, e quel qualcosa potrebbe dare risposte inaspettate.

Perché

È da un po’ che ci rimugino. In realtà da qualche mese: non sono mai stata una scheggia nelle riflessioni. Di solito scelgo una strada e la percorro, facendo di tutto per mantenere la rotta, per poi scoprire che si trattava di un vicolo cieco. In questo caso non si tratta di un vicolo cieco, ma semplicemente di questo blog.

Ho passato gli ultimi tempi seguendo solo qualche altro blog, senza scrivere nulla di nuovo, ma attingendo alle riserve di qualche mese fa, quando avevo molte più idee di quante ne abbia adesso. Rimane ancora qualche pezzo e le storie continuative, che sono quelle che mi divertono di più, ma che sembrano annoiare maggiormente. Me ne farò una ragione, almeno in questa boccia la prima parte della frase precedente è più importante della seconda.

Quello che mi ha bloccato è stato chiedermi il perché. Perché continuassi a scrivere, a impiegare tempo e a rosicchiare ore di sonno per un semplice blog che non porterà a nulla. Perché mi stessi impegnando da anni in questo spazio che nemmeno è reale.

Per qualche giorno ho persino pensato di chiudere tutto, senza troppi fronzoli. Questo post è nato così, tanto per mettere un punto alla fine di una storia. Abbiate pazienza, sono un’estimatrice dei punti: penso di essere una delle poche persone a metterle persino a conclusione messaggini via chat, tanto per chiarire di non avere nulla da aggiungere. Cosa che spesso non viene colta.

Ma il pensiero di rinunciare a questo angolo mi ha lasciato uno strano sapore in bocca, non amaro, ma quel sentore che si percepisce dopo una malattia, un’alterazione, accompagnata da un senso di solitudine. Dopotutto è l’unico momento in cui davvero riesco a fare ciò che mi piace, scrivere.

E allora, perché pubblicare questo post? Non lo so nemmeno io. Troppi perché che richiedono una risposta. E io, come ho già detto, ho la riflessione pigra.

So solo che questa storia non avrà ancora una fine

Incrollabili certezze

Nel mio mondo le certezze incrollabili non esistono. Quando penso di averne individuata una, questa non perde tempo per sgretolarsi o mutare forma. Nulla di strano. Tutto cambia, tutto sembra essere soggetto a leggi severe che impongono mutazioni.

E come tutte le certezze, anche questa si è rivelata inesatta.

Nella vita si incontrano molte persone, alcune sono solo conoscenze di passaggio, altri volti con nomi sfocati, altri ancora pietre indesiderabili che si piazzano lungo la via per intralciare periodicamente il transito.

Da un po’ di anni una di queste pietre ha fatto il suo ingresso nella mia via. Impossibile da rimuovere, dato che comporterebbe l’eliminazione di una pietra fondamentale. Però anche sopportare la sua presenza, tollerare la maleducazione e soprassedere alla saccenza, ma ciò che proprio non capisco, e che forse invidio, è l’assenza di dubbio.

Le certezze di questo soggetto sono là, belle, stabili, da anni e anni. Nulla le smuove, nessuna domanda le intacca e nessun dubbio le corrode.

Deve essere confortante avere questi fari, eppure il non riflettere, la negazione del dibattito mi fanno pensare che più di certezze si tratti di superstiziose comodità.

Calze sul camino – Pt. 3

Klag, Candy, Dwarf e Furt si immaginavano che la cornacchia li accompagnasse almeno al limite della palude, ma si dovettero arrangiare.

“Corvaccio del malaugurio” grugnì Dwarf. “Non è un corvo” lo corresse Klag “è una cornacchia. E non sbuffare sempre. Dopo gli Spiriti, che cosa vuoi che sia un mostriciattolo”.

Anche l’umore di Furt non era dei migliori, nonostante il suo colorito fosse migliorato. Ma si sa, mai sveglaire il folletto che dorme. “Dicono che i folletti sappiano da caramella. E Candy, il tuo nome non mi sembra adatto all’occasione. Potremmo chiamarti Indigest o Poison”.

“Io non cambio nome” protestò Candy “avanti ora. L’ovest è da quella parte, e dal puzzo sembra che le paludi non siano lontane”.

L’unica a non parlare era stranamente Klag, che continuava a pensare alle parole della Cornacchia-Vecchia. Certo, trasformare in volatile una vecchia non era un atto di pura gentilezza, ma perché il mostro aveva aspettato tutti quegli anni per ottenere soddisfazione?

Quando espresse i suoi dubbi la misero a tacere con un secco: “se vuoi, glielo chiedi prima che tuo marito stenda il Mostro con il suo alito”.

“Che ha il mio alito?” Borbottò Dwarf.

“Chiedi agli Spiriti “.

“Li ho abbattuti con la mia forza e la mia possenza”.

E tutti si misero a ridere.