Campi Elisi – Pt. 12

Imperscrutabili sono i piani degli dei, sembrano dei labirinti in cui non è possibile trovare la strada che conduca al centro o alla salvezza. È un labirinto che non ha fine e dal quale non è possibile sfuggire, come ragni in un’elaborata ragnatela.

“Il labirinto è la mia vita. Nella città natale si nascondeva un segreto cruento e indicibile, che chiedeva vittime e nutrimento. Con un filo d’oro ho rischiarato quelle tenebre per uno straniero venuto dal mare, e nel mare scomparso. Il labirinto mi ha accompagnata in un viaggio senza senso, lontano da mio padre, lontano dalla mia terra, con mille pensieri che non pensavo di conoscere. E poi il labirinto piatto del mare, che sussurrava di una fuga di colui per il quale avevo perso tutto. Talvolta il luccichio delle onde mi rimandava frammenti di un filo d’oro, del tutto inutili, però, per trovare una via d’uscita”.

“Sei stata salvata, Arianna. Tu sei amata dagli dei, e da un dio in particolare”

“Il dio dell’ebrezza mi ha mostrato le vie multiformi della mente, mi ha svelato il gioco che si cela in ogni goccia ambrata. Ma io, su quella spiaggia, sono morta. Quel mare mi ha tolto il respiro. E il dio temo sia solo un sogno di una fanciulla che non ha scorto più il sole nella sua vita”.

“Teseo è stato punito”

“Non volevo vendetta. Volevo solo quell’uomo”.

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Foresta

Un labirinto naturale in cui perdersi. Entri e non sai quale sia l’uscita. Alle spalle le terre conosciute e familiari, dove echeggiano le voci note e le strade portano in luoghi amati. Davanti un mondo inesplorato.

Invece decidi di mettere piede nella foresta. Senti i richiami di uccelli sconosciuti, vedi occhi fuggitivi che ti osservano guardigni. Senti ostilità, gli alberi non sono domestici e disegnano paurose figure. Eppure procedi, con il cuore che batte, con la paura che scorre nelle vene.

E procedi, senza neppure pensare all’uscita. È un luogo affascinante, terribile, certo, ma irresistibile. L’ignoto, il proibito ti chiama. E tu rispondi.

E allora perditi. Nella tua pazzia, nella tua follia.

Arianna

Perché non lo vedo più? Quel filo dorato che percorre la mia vita? Che risplende debolmente nell’oscurità e segna la via anche nei luoghi più tenebrosi?

Una volta scelsi di donarlo a quel giovane straniero. Un semplice ragazzo venuto da lontano, dagli occhi profondi, colmi di intelligenza e di furbizia. Fui io a salvarlo, fu la mia traccia dorata a guidarlo fuori dal labirinto. Io gli diedi quella matassa d’oro, me ne privai.

E me ne pento. Adesso la rabbia mi offusca la vista.

Eppure ora più che mai avrei bisogno del mio prezioso filo. Mi sono persa nel mio labirinto, più intricato di quello di Dedalo e nessuno viene in mio soccorso. Vorrei tornare a casa, ma non so quale sia la strada. Non vedo una luce che possa guidarmi. Non so da che parte volgermi. Mura vertigionose mi stringono da ogni parte. Mi trovo continuamente in qualche vicolo cieco. Le mie dita non stringono più niente.

Sono sola. Mi sente abbandonata. Scelsi di seguire gli occhi color del mare, ma ne fui ingannata.

Qui non c’è nessuno. Sono in un’isola deserta. Nessuno che senta le mie preghiere. Vedo solo una nave perdersi nell’orizzonte. Dietro di sé la scia del tradimento.

Ecco qual è la mia ricompensa: tradimento.

Se solo qualcuno per una volta mi aiutasse.

Possibile? Sarà la mia immaginazione, ma sento dei passi portati dal vento. Vedo una figura avvicinarsi. Porta con sé l’odore di mosto.

Che sia un miraggio?

In mano stringe qualcosa di luminoso. E me lo porge. È lui, è il mio filo.

Ora non ho più paura. So che strada percorrere.

Eccomi ora, mentre seguo questo nuovo straniero. Magari questa volta andrà meglio.

Labirinto

Labirinto è il luogo in cui è permesso perdersi, tornare sui propri passi, ripercorrere strade già battute.

Labirinto è geometria. Non quella scienza chiara, confortevole, dalle linee nette, regolate da regole e formule. No, è una geometria ingannevole, sinuosa, che induce a false conclusioni. Un ordine che crea disordine.

Labirinto è sfida. Sfida a non perdere il senno. Sfida a non mollare. Sfida ad abbandonare la strada scelta per imboccarne una sconosciuta, forse migliore. Sfida a cercare il centro, il fulcro attorno al quale tutto ruota.

Labirinto è ricerca. Affannosa, vertiginosa, soffocante ricerca. È una corsa che gira vorticosamente attorno a se stessa facendo nascere il panico dello smarrimento.

Labirinto è il buio che ti regala la luce finale, il premio tanto agognato.

Labirinto è dentro di noi. Nelle vene, nei capillari, nei nervi e nelle viscere. Strade sottili che si incrociano, si intrecciano, si intersecano.

Labirinto siamo noi.

Specchio di verità. Parte 5: paure e speranze

Correva fra i boschi, fuggendo al fato, evitando il suo destino. Dietro di lei sentiva la presenza costante ma discreta del suo muto accompagnatore. Il passo si fece, però, sempre più pesante e si dovette fermare ansimando. Si sentiva al sicuro nel bosco, in quel labirinto senza centro e senza meta, lontano da qualsiasi essere umano.

Qualcosa, tuttavia, la rendeva irrequieta. Fino a quel momento aveva proceduto spedita, rifuggendo qualsiasi altro essere vivente. Negli ultimi giorni, invece, si era spesso voltata indietro, sperando di scorgere qualcuno che la potesse sostenere quando barcollava, che le potesse prestare una coperta nelle notti gelide, che l’aiutasse nelle difficoltà.

Per la prima volta si sentì persa, percepì l’ostilità del bosco, le sembrò che gli alberi si protendessero maligni per metterla in trappola. Iniziò ad avere paura delle ombre, del fruscio tra le foglie, delle forme contorte e doloranti che emergevano nella oscurità verdastra. Infine cadde e aspettò l’alba mentre il silenzioso compagno aspettava in disparte.

Il mattino seguente riprese ad avanzare, con il suo fagotto sempre ben stretto al petto. All’improvviso le comparve davanti un bimbo che correva allegro. Si chinò e gli fece vedere il suo prezioso bagaglio.

“Dimmi, cosa vedi?”

L’unica risposta che ebbe fu una risata cristallina e una pazza corsa verso l’orizzonte, non frenata dalla sabbia, dalla nebbia, dall polvere e dai baratri orridi che si aprivano lungo la via chiamando a loro le anime dei viandanti.