Immagini

Davanti agli occhi, o forse dentro la sua testa, scorrevano lampi di colori, come un film impazzito che tentava di seguire il battito folle del cuore di un colibrì.

La fontana di una casa che non esisteva più gli bagnava le mani paffute e rosse per il freddo, ed era felice.

Una risata si spandeva per l’aria, forse un po’ troppo acuta, forse un po’ troppo rumorosa, ma non aveva problemi, non aveva confini.

Quel sorriso galleggiava sopra di lui, e si sentiva protetto.

I giochi vennero rimpazziati da libri, fogli, carte, penne. E scoprí nuovi mondi, alcuni affascinanti, altri terribili, alcuni spaventosamente reali, altri magicamente falsi. E sogno si confuse con realtà, realtà scivolò in immaginazione, e immaginazione spiegò le ali per raggiungere l’universo.

E c’era anche lei, il suo sorriso, le sue parole, la carne e il respiro. Lei era il sogno che si era svegliato al momento sbagliato, che aveva assaggiato la fiele del mondo credendo che fosse nettare. La delusione gli tolse il fiato.

Ma il film doveva continuare. Racchiuse l’amore per lei nel cuore, come i petali di una rosa racchiudono il proprio segreto, e vide scivolare via altri giganti e anche qualche nano.

Vide le vittorie e le sconfitte. Vide re umani e regni di api. Era tutto così veloce, tutto così confuso. Strinse le mani a mille persone senza volto, sorrise e pianse.

Per ogni vertebra vide una storia, per ogni respiro sentì una voce. E sperò di non vedere la fine di quella strana commedia.

Pubblicità

Astolfo non vuole tornare – Pt 12

Il tempo perduto non trova spazio neppure sulla luna, o quel piccolo sasso sospeso nell’universo dovrebbe raggiugere le dimensione dell’universo stesso. Un bel problema, soprattutto per la terra che ne risulterebbe schiacciata.

Per cui niente tempo perduto sulla luna. Ma i detriti che il tempo lasciava alle sue spalle occupavano una importante valle, tutta colma di oggetti di vari dimensioni. La parte che Astolfo visitò apparteneva al settore Bambini. Vi erano riversati centinaia, migliaia di giocattoli e pupazzi appartenenti a varie epoche e a parti del mondo che non avevano fatto la reciproca conoscenza.

Astolfo si perse in quel dedalo di vie che gli ricordava il labirinto della foresta in cui tante volte aveva perso la strads. Una leggera nostalgia affondò gli artigli nel suo cuore, ma Astolfo non avrebbe saputo dire se fosse per il ricordo della sua terra o se fosse per la desolazione di quell’angolo di luna.

Astolfo si ricordava di essere stato bambino, ma ormai gli pareva di aver vissuto troppe vite, di aver visto troppo sangue per poter trarre piacere da quei ricordi. Giocava con i fratelli con spade immaginarie, rideva come mai avrebbe fatto: nessuno vuole un saggio che ride come un bambino.

“Peccato, mi è sempre piaciuta la tua ironia” notò la voce.

“E tu cosa ne sai della mia ironia?” commentò Astolfo rigirando con delicatezza tra le mani una rozza bambola di stoffa dai capelli rossi. Gli ricordava vagamente di una bambina, ma venne distratto da un movimento che intercettò con la coda dell’occhio.

“Ti ho visto, fatti vedere!” urlò il guerriero mentre rimetteva a posto il giocattolo.

“No Astolfo, non potrei mai”. La voce era un po’ più lontana del solito.

Il cavaliere cercò la via di uscita, ma l’avanzata era rallentata da cavalli di legno, piccoli strumenti che producevano un dolce tintinnio, maschere multicolori, trottole e palle di straccia. Per quanto provasse a liberarsene, sembrava che quell’impero di ricordo gli stesse franando addosso.

Specchio di verità. Parte 5: paure e speranze

Correva fra i boschi, fuggendo al fato, evitando il suo destino. Dietro di lei sentiva la presenza costante ma discreta del suo muto accompagnatore. Il passo si fece, però, sempre più pesante e si dovette fermare ansimando. Si sentiva al sicuro nel bosco, in quel labirinto senza centro e senza meta, lontano da qualsiasi essere umano.

Qualcosa, tuttavia, la rendeva irrequieta. Fino a quel momento aveva proceduto spedita, rifuggendo qualsiasi altro essere vivente. Negli ultimi giorni, invece, si era spesso voltata indietro, sperando di scorgere qualcuno che la potesse sostenere quando barcollava, che le potesse prestare una coperta nelle notti gelide, che l’aiutasse nelle difficoltà.

Per la prima volta si sentì persa, percepì l’ostilità del bosco, le sembrò che gli alberi si protendessero maligni per metterla in trappola. Iniziò ad avere paura delle ombre, del fruscio tra le foglie, delle forme contorte e doloranti che emergevano nella oscurità verdastra. Infine cadde e aspettò l’alba mentre il silenzioso compagno aspettava in disparte.

Il mattino seguente riprese ad avanzare, con il suo fagotto sempre ben stretto al petto. All’improvviso le comparve davanti un bimbo che correva allegro. Si chinò e gli fece vedere il suo prezioso bagaglio.

“Dimmi, cosa vedi?”

L’unica risposta che ebbe fu una risata cristallina e una pazza corsa verso l’orizzonte, non frenata dalla sabbia, dalla nebbia, dall polvere e dai baratri orridi che si aprivano lungo la via chiamando a loro le anime dei viandanti.