
È difficile la vita da altalene. Lo so, è una metafora scontata: sono sempre qui, a oscillare avanti e indietro, mi proietto verso il cielo per poi ripiombare in basso, e poi ancora su, e giù un’altra volta. Ma, credetemi, la vostra metafora non è nulla in confronto alla mia esistenza. Perché io sono un’altalena, una vera altalena, fatta di legno e metallo, catena e corteccia.
A volte invidio le mie luccicanti sorelle di plastica, rosse come il rubino o blu come il cielo. Però devo ammettere che invecchiano proprio male: si scheggiano, sbiadiscono, si rompono. Inoltre vengono usate solo dai bambini. Io no, io invecchio, certo, ma il tempo mi rende sempre più affascinante, anche per i ragazzi e gli adulti che voglio tornare bambini, che vogliono ricordare il primo bacio. Ho sentito molte mani sulle mie catene. Alcune si stringevano forte forte per la paura, altre invece non vedevano l’ora di mollare la presa per sentire il vento scorrere tra le dita. Ho sentito risate divertite, richieste capricciose. Persino qualche pianto triste e qualche tonfo di un impavido con poco equilibro.
A ogni scalata verso il cielo, però, c’è la discesa nel dolore. Conoscete la storia di Persefone, perennemente divisa tra cielo e inferi? Anche lei oscilla come un’altalena tra la vita e la morte, incapace di scegliere una delle due. Ecco, lo stesso succede a me. Ci sono lunghi periodi in cui divento solo un ammasso di ruggine e di legno marcito, abbandonata da tutti, scosso dal vento che riesce a smuovermi solo di pochi centimetri. Talvolta sono anche oggetto delle bravate di qualche ragazzino che si sente adulto o che sfoga la sua rabbia sulla mia carcassa.
Dura la vita da altalena. Non si riesce mai a trovare un equilibro.